Nei prati primaverili, tra le tante erbe selvatiche che spuntano con la bella stagione, ci sono gli “strigoli” o “stridoli” (così chiamati perché le loro foglie prese tra due dita stridono). In Romagna, dove sono ben diffusi e apprezzati per il loro sapore lievemente amarognolo, fanno parte dei tipici ingredienti della cucina contadina: i loro getti novelli, crudi, finiscono in insalata con altri vegetali a foglia, oppure si usano per insaporire zuppe, minestre, polpette, ma anche per rendere più sfiziose le frittate e per dare verve a un sugo di pomodoro con cui condire le tagliatelle.
Il loro nome scientifico, “Silene Vulgaris”, sarebbe da ricondurre, secondo la mitologia greca, al satiro Sileno, metà uomo e metà cavallo, con ventre rigonfio (ecco l’allusione ai calici dei fiorellini della silene!). Sono vari e curiosi i nomi con cui la silene, erba spontanea che si trova da marzo a settembre, è nota: si va da “carletti” a “sonaglini” passando per “bubbolini” (per via dei fiori bombati). Le piantine crescono senza fatica un po’ dappertutto lungo i fossi, i sentieri e nei prati incolti. Gli stridoli si riconoscono per i fiorellini bianchi a trombetta, con il calice un po’ rigonfio, e per le foglioline lunghe e lanceolate che ricoprono il fusto eretto. In Romagna oggi gli stridoli vengono coltivati, soprattutto nelle province di Rimini e Forlì-Cesena, e venduti non solo a mazzetti ma anche in vaschette e in busta. In questo modo sono approdati pure sugli scaffali dei supermercati.
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