Fiumi in secca, terreni aridi, acqua calmierata e raccolti agricoli a rischio. E se piove sono sempre più frequenti disastri idrogeologici come quello che ha colpito la popolazione emiliano-romagnola in questi giorni, dopo che a causa di qualche giorno di pioggia battente, terreni e argini dei fiumi non hanno retto la grande quantità d’acqua e sono esondati direttamente sui centri abitati causando migliaia di sfollati. E in un Paese in cui la parola emergenza è l’espressione dell’approccio a qualsiasi problema lascia di stucco il drammatico problema della dispersione idrica. L’Italia ha una rete idrica vecchia, logora e deteriorata tanto che può essere rappresentata come un colabrodo, che contribuisce ad aggravare la critica situazione ambientale che si sta attraversando a livello globale.
Perché i cambiamenti climatici e l’inquinamento stanno accrescendo la pressione su corpi idrici e infrastrutture, già fortemente sollecitati dai processi di urbanizzazione e dallo sviluppo economico che hanno avuto, negli anni, un impatto diretto sull’aumento della domanda di acqua. Occorre dunque rafforzare la resilienza del sistema idrico, rendendo i processi più efficienti soprattutto nei territori che presentano una maggiore vulnerabilità a situazioni di criticità idrica.
Sulle basi di questi elementi, discutendo poi sul ruolo della tecnologia nei sistemi idrici, sul palco del Galileo Festival della Scienza e dell’Innovazione di Padova hanno dialogato, all’evento “Tecnologie e infrastrutture idriche”, Emilio Caporossi, responsabile funzione acqua AcegasApsAmga, Stefano Alvisi, docente di Idrologia Università di Ferrara e Luca Stevanato, amministratore unico Finapp.
“In Italia abbiamo una rete importante e molto lunga che porta acqua nelle nostre case. Ma questo non era scontato fino alcuni decenni fa – spiega Stefano Alvisi -. Adriano Celentano con la canzone ‘I ragazzi della Via Gluck’ cantava “Vai finalmente a stare in città, là troverai le cose che non hai avuto qui, potrai lavarti in casa senza andar giù nel cortile”. Insomma – continua il professore dell’Università di Ferrara – avere l’acqua a casa per l’epoca voleva dire entrare nella modernità, ma oggi l’infrastruttura idrica ha bisogno di molti ritocchi perchè la metà dei tubi che la compongono, dove appunto viaggia l’acqua, risalgono proprio agli anni del dopoguerra”.
Ma smontare e ricostruire migliaia di tubi non è economicamente e materialmente possibile. Basti pensare a quando nelle nostre città c’è bisogno di operare sulla sistemazione di una semplice tubatura. Questo lavoro causa solitamente ingorghi e rallentamenti nel traffico e altre difficoltà. Ecco che è utile un dialogo tra aziende del settore e università che tramite le nuove tecnologie possono riuscire a trovare soluzione alternative.
Quando si parla di innovazione, spesso si sottolinea la difficoltà di fare trasferimento tecnologico, ovvero di trasformare i risultati raggiunti all’interno dei centri di ricerca o dei laboratori universitari in applicazioni concrete e apprezzate dal mercato. Una sfida che Finapp ha affrontato grazie a una sonda che risolve le inefficienze legate alla rilevazione delle perdite idriche.
La startup innovativa e spinoff dell’Università di Padova è riuscita a rivoluzionare il monitoraggio delle risorse idriche con una sonda, che sfrutta i raggi cosmici. Quando questi raggi interagiscono con le molecole d’acqua presenti nel terreno, nelle piante, nella neve, si forma una “nebbia” di neutroni in sospensione. Le sonde crns (cosmic ray neutrons sensing) permettono di contare questi neutroni e quindi di determinare il contenuto d’acqua presente nel terreno, nella biomassa e nella neve. “Esistono già questi tipi di strumenti, ma sono solitamente alti due metri, il cui peso si aggira intorno ai 60 kg e il cui prezzo è piuttosto alto. La nostra sonda, invece, ha un’altezza di 20 cm e pesa solo due chili. Quello che abbiamo fatto, quindi, è stato lavorare sull’hardware per renderlo maneggevole e più facile da utilizzare. Questo ha fatto sì che anche in termini di prezzo il prodotto sia molto competitivo sul mercato”, aggiunge Stevanato.
“La quantità di acqua presente in un terreno ci aiuta a capire se quel terreno è troppo secco – e quindi esposto al rischio di incendi -, oltre che a valutare la probabilità di frana e smottamenti, poiché si tratta di un fattore d’innesco”, spiega Stevanato. Diverse applicazioni che possono aiutare le amministrazioni (ma anche realtà del privato) a gestire i rischi derivanti dai cambiamenti climatici, da infrastrutture inadeguate e una scorretta gestione del suolo. “Il potenziale è tanto, la tecnologia c’è, ora la vera sfida è farla conoscere, portarla nel mondo”, conclude.