Innovazione e competitività sono un legame indissolubile per le imprese italiane. Eppure, in molte classifiche l’Italia non compare come un Paese innovatore, nonostante nei mercati internazionali le aziende nostrane siano ben affermate. Ad anticiparci in un’intervista alcuni temi che porta in questi giorni al Bergamo Città Impresa è Maurizio Marchesini, presidente di Marchesini Group e vicepresidente di Confindustria.
Marchesini, come spiega questa dinamica che ci vede sfavoriti nelle statistiche sull’innovazione?
Bisogna sempre capire qual è lo spazio economico che può occupare l’Italia nel mondo. Io credo che non sia certo quello delle produzioni di grandissima quantità a basso costo, non lo è più da molti anni, ma è il mondo delle nicchie che però diventano importanti e interessanti se sono di respiro mondiale. Le nicchie che noi occupiamo da una parte ci costringono a essere forzatamente innovatori, per completarle nel modo migliore possibile, e allo stesso tempo fortemente esportatori. Ad esempio, il nostro mondo delle macchine per il packaging farmaceutico vale circa 9 miliardi nel mondo, una nicchia piccolissima se paragonata all’oil and gas oppure al food. Quello delle macchine per il cosmetico credo che sia attorno ai 3-4 miliardi, dunque ancora più piccola. Normalmente noi occupiamo nicchie della grande qualità, del ben fatto, del bello. Altra nicchia che secondo me è molto esemplificativa è l’automotive, dove noi siamo passati da fare milioni di automobili a farne poche migliaia, però siamo i leader nelle dream cars, nella nicchia super alta. Sono tutte posizioni che non si mantengono se non fai ricerca e sviluppo. In più, noi abbiamo un sistema industriale che è fortemente basato sulle filiere e molti pezzi dell’innovazione stanno proprio all’interno delle aziende normalmente molto più piccole, molto meno strutturate, che fanno però parte della filiera e che concorrono a fare innovazione assieme ai capi filiera, ma solo questi ultimi brevettano ed evidenziano l’innovazione nei propri bilanci.
Qual è l’impatto delle nuove tecnologie?
Guardando al futuro ci sono due aspetti da valutare per tutte le nostre imprese, che derivano proprio dalle nostre caratteristiche di lavorare in nicchia, di fare medium technology, e quindi qualcosa che è evolutivo, e di essere forti esportatori. Uno è il nuovo assetto mondiale, questa globalizzazione che non sta arretrando come pensiamo, ma si sta chiudendo. E’ un discorso abbastanza complesso. Il secondo è legato alle nuove tecnologie, che sono fortemente disruptive rispetto al passato. Mi riferisco soprattutto all’intelligenza artificiale. C’è una situazione che io definisco attuale, che è quella della digitalizzazione della manifattura, che dobbiamo implementare e sviluppare. E poi ci sono le nuove tecnologie che sono per l’Italia una splendida occasione se saremo in grado di utilizzarle, implementarle anche perché non avendo materie prime, non è che possiamo fare tante altre cose.
In Italia, lo sappiamo, non ci sono solo imprese fortemente innovative.
No, ci sono aziende che sono molto indietro e che identificano l’intelligenza artificiale con il concetto Chat GPT, quindi quella generativa. In realtà l’intelligenza artificiale ha tante altre caratteristiche, anche applicabili al mondo dell’industria, con più difficoltà naturalmente e come sempre tutto questo cozza contro le competenze. Purtroppo per una scienza che si sta sviluppando in fretta, occorrono delle competenze in qualche modo native di intelligenza artificiale e qui bisogna aprirsi un po’ ad un mondo diverso. Noi come gruppo Marchesini lo stiamo facendo avendo delle competenze interne, ma molto anche in collaborazione con start-up universitarie. In più, non bisogna spaventarsi di un aspetto, cioè che magari queste realtà fanno cose lontanissime dalla nostra esperienza che però poi possono essere calate nell’industria. Credetemi, il limite è la nostra fantasia. Tutto questo non è esente da rischi, ma i rischi non sono quelli che tutti pensano, ossia che così perdiamo i posti di lavoro. I rischi sono sull’uso inappropriato dell’intelligenza artificiale, mentre dal punto di vista delle macchine diciamo che c’è un rischio sul mancato dominio dell’uomo sull’output della macchina. L’intelligenza artificiale è costruita in maniera tale che è chiaro quali sono gli input che noi gli diamo ma non è altrettanto chiaro nel tempo l’output perché l’output cambia con il machine learning e con la capacità della macchina di imparare dai propri errori. Poi c’è anche una questione di normativa, di diritto.
Cambiando argomento, Valter Caiumi ha detto che la Germania l’anno prossimo si riprende. Su quali basi l’ha detto?
Caiumi non è uno che parla a caso anche perché opera sia in Italia sia in Germania dove ha comprato un’azienda in crisi e l’ha risollevata. Per Caiumi, la Germania, che sappiamo bene quanto è importante per l’Italia – e quando sento i politici italiani gioire perché la Germania va peggio, mi vengono i brividi perché vuol dire non aver capito nulla delle connessioni fortissime che ci sono – si riprende perché vede già i segnali di inversione di tendenza dal punto di vista industriale, vede già dei segnali nella crescita del mercato. Li vede ancora abbastanza lontani, ma vede anche un governo che sta riprendendo le redini di questa vicenda. Loro sono le prime vittime, secondo me ma anche secondo Caiumi, di questa nuova globalizzazione: hanno questo legame talmente forte con la Cina, che è quello che gli sta creando problemi dal momento che la Cina ha manifestato molto chiaramente l’intenzione di chiudersi dentro i propri confini. E mentre le nostre dipendenze strategiche nei confronti della Cina sono alte e continuano sempre ad alzarsi, in Cina stanno cercando di affrancarsi anche dalla dipendenza di mercato e quindi stanno cercando di far crescere il proprio mercato interno. Vi faccio un esempio che secondo me spiega tante cose: hanno tolto l’insegnamento dell’inglese dalle proprie scuole. In più, stanno cercando di impedire sempre di più il radicamento delle imprese straniere in Cina.
Ormai ha ribadito più volte che non vuole candidarsi alla presidenza di Confindustria..
Lo confermo e le devo dire che non ci ho neanche pensato. Potevo avere anche un’idea, come dire un po’ poetica, di fare il presidente di Confindustria, però il problema è che adesso, in quanto vicepresidente vicario, ho rischiato di trovarmi nella spiacevole situazione di doverlo fare con l’unico merito di essere più vecchio degli altri. Quindi sono convintissimo che ci voglia qualcuno che abbia intanto l’ambizione personale e deve essere anche un po’ più giovane.