Ha tagliato l’anno scorso il traguardo dei trent’anni di attività; con un fatturato di circa 180 milioni di euro, saliti dai 156 del 2020, i 140 del 2019, e i 119 del 2018. E le proiezioni di fatturato per il 2022 arrivano a 200 milioni. Stiamo parlando di Italpizza, nata a Castello di Serravalle (Bologna) e operante dal 1998 a San Donnino (Modena), che ha fatto dell’intuizione di un appassionato imprenditore locale – quella di fare una pizza di qualità che mantenesse inalterate le sue caratteristiche ovunque nel mondo, cucinata in forni a legna, con lievitazione naturale per 24 ore e stenditura e farcitura a mano – un’azienda che i numeri dimostrano essere da Top di settore; anche grazie agli importanti investimenti tecnologici sostenuti dall’inizio degli anni 2000, e all’inserimento di nuove linee produttive nel 2017 – lo stabilimento conta attualmente su una superficie di 20.000 metri quadrati, e 1200 addetti di cui il 65% donne di 40 nazionalità diverse.
A tracciare la storia di quello che si pone oggi come il più grande produttore italiano di pizza surgelata è stato Antonio Montanini, amministratore Acta e responsabile della comunicazione di Italpizza, durante l’evento dedicato alle imprese Top di settore per Alimentare e Bevande di ItalyPost e L’Economia del Corriere, a Milano. E nel farlo parte dall’idea del fondatore, Cristian Pederzini, che trovava “paradossale che leader nelle settore fossero tedeschi” – persino Cameo produce in Germania, ha precisato. Per questo ha deciso di “trasformare in idea imprenditoriale” la “conservazione del valore dell’artigianalità, riproducendo in forma industriale il progetto della classica pizzeria”: basti dire che ci sono 700 ricette, e che le pizze vengono appunto stese e farcite a mano – di qui l’alto numero di addetti in rapporto al fatturato.
In realtà quello di Italpizza è stato un percorso che Montanini ha definito di “ritorno all’italianità”: per raccogliere capitale all’inizio degli anni 2000 il fondatore aveva infatti venduto il 90% delle quote, arrivate poi nel 2008 all’inglese Bakkavor Group; ma nel 2014 è poi iniziato il processo di riacquisizione totale, concluso nel 2015.
Oggi Italpizza produce 130 milioni di pizze l’anno – con proiezioni di 150 per il 2022 – esportando in 56 Paesi; e sta trattando per l’acquisizione di un nuovo impianto produttivo negli Usa, mercato in cui è già presente come private label ma non con il proprio marchio. A questo scopo ha realizzato un’emissione obbligazionaria da 20 milioni per finanziarlo, cosa che “ci ha permesso di non dover modificare la compagine societaria – ha precisato Montanini – e di accompagnare operazioni di crescita. Cerchiamo di lavorare anche su mercato tedesco – ha proseguito – che ha dinamiche diverse dalle nostre: nel food uno dei grandi problemi è intercettare dinamiche di gusto e di abitudine, tanto più per un prodotto alto di gamma che non è percepibile da tutti i palati”. Investimenti sul brand sono stati avviati anche in Francia, dove Italpizza è presente sempre in private label, per “riempire lo spazio” lasciato da Buitoni – che ha avuto un crollo Oltralpe e chiuso lo stabilimento in seguito ai casi di pizze contaminate da escherichia coli. E altri investimenti sono in programma anche in Italia, dato che “in questo momento c’è un eccesso di domanda rispetto alla capacità produttiva”.
Ma qual è in sintesi la strategia alla base di quest’espansione? Montanini ha messo in luce in particolare il tema dell’innovazione prodotto: “Siamo stati i primi a lanciare la pizza surgelata rettangolare, della misura della teglia forno: fino ad allora erano solo rotonde”, ha osservato, e anche un’apparente banalità come la maggior facilità di gestione della pizza in forno ha fatto la differenza. Innovazione che, ha precisato, richiede un lungo studio e investimenti: “Abbiamo studiato anni per realizzare la pinsa romana, tra gli ultimi prodotti che abbiamo lanciato – ha ricordato – e abbiamo un’area produttiva dedicata a questa”. Anche lo stesso fatto di essere usciti con il proprio marchio dopo un periodo di operatività esclusivamente in private label è stata indicata come innovazione centrale.
Da tenere in conto è anche il tema del passaggio generazionale, per ora non in programma: il fondatore ha infatti esordito poco più che ventenne, e trent’anni dopo “è ancora in iperattività”. Certo, ha assicurato Montanini, in prospettiva si sta curando il fatto di avere all’interno delle figure che possano garantire la continuità, tanto più che la compagine è giovane: ha infatti citato l’esempio del direttore generale, quarantenne. Insomma, ci sono ancora tante pizze all’orizzonte.