Ci sono parole che segnano la piega che prenderà un certo fenomeno, e noi d’ora in poi quelle parole le dovremo sempre scegliere con cura [1]. Se il fenomeno di cui discutiamo sono le imprese alla prova della sostenibilità, allora le nuove parole che ci servono sono: all involved e triple transition. Vediamole.
All involved
Le imprese autenticamente coinvolte nell’adozione di principi di strategia e gestione ispirati alla sostenibilità realizzeranno i loro obiettivi a condizione di saper coinvolgere in questo percorso tutti gli interlocutori interni ed esterni. Per farlo, dovranno sviluppare da sè o portare da fuori le competenze per interagire correttamente con ciascun segmento target di interesse.
Ci riuscirà sicuramente quel ristretto numero di imprese (lucky few) che fin da tempi non sospetti hanno riprogettato i processi interni e le relazioni con l’esterno in ottica rigenerativa, ponendosi l’obiettivo di avere un impatto positivo su territori e comunità e di generare più valore (economico, ambientale e sociale) rispetto a quello consumato.
Ci riuscirà anche il folto numero di imprese che, per scelta o per casualità, sono inserite nelle filiere del valore delle leading firms sul fronte della sostenibilità (happy many) [2]. A volte, tali realtà sono state spinte ad entrare nel processo e nelle logiche rigenerative come condizione per continuare a operare in alcuni network di business. Altre volte, invece, sono state formate e accompagnate dalle imprese leader, che agiscono come sustainability gatekeeper, cioè si fanno carico di rendere disponibile alla rete di fornitori e clienti la conoscenza per concretizzare l’agire sostenibile.
Per raggiungere in modo compiuto gli obiettivi di sviluppo sostenibile, queste imprese dovranno avviare specifiche politiche di engagement. Quelle di stakeholder engagement sono già entrate nelle prassi diffuse: si tratta di iniziative per tenere in considerazione le esigenze e le aspettative legittime delle varie categorie di stakeholder esterni, bilanciandole e integrandole nelle strategie aziendali. Queste iniziative vanno concepite come il risultato di una co-progettazione tra impresa e comunità.
Quelle di workforce engagement sono per certi aspetti meno scontate e più raffinate. Non si tratta solo di ridisegnare gli assetti organizzativi e alcune pratiche di gestione del capitale umano, ma essere anche capaci di condividere un po’ di potere decisionale. La ragione? Le maestranze non possono lasciare i loro valori a casa e, con una crescente frequenza, prendono posizione a fronte di comportamenti aziendali in situazioni che stanno loro a cuore (ad esempio, protestare contro il proprio datore di lavoro se ha relazioni d’affari con persone o partner eticamente inadeguati). Su questi temi, alcune pagine interessanti si trovano in Purpose + Profitto, il libro di George Serafein (Egea, 2022).
Basta questo? Secondo me, no. A me pare che per completare il processo si debba rapidamente agire nei confronti di chi nelle imprese ci arriverà e di chi ne è già uscito. Sui primi, ovvero sulla Generazione Z (o Plurals o Zoomers; nati tra il 1997 e il 2012) e sulla Generazione Alpha (nati dopo il 2012), ci stanno lavorando in molti. Uno per tutti: #UnlockEducation, la campagna di educazione sulla sostenibilità lanciata il 31 marzo 2022 da Nativa e dalle B-Corp italiane e patrocinata dal Ministero dell’Istruzione, con l’intento di fornire agli oltre quattro milioni di ragazze e ragazzi italiani tra i 14 anni e i 25 anni, conoscenze, competenze e strumenti per costruire e vivere un futuro più inclusivo e sostenibile, formando così la prima generazione in grado di soddisfare i propri bisogni senza compromettere la possibilità di quelle future di fare altrettanto.
E ai secondi, chi ci sta pensando? Mi riferisco alla Silent Generation (nati tra il 1928 e il 1945) e ai Baby Boomers (nati tra il 1946 e il 1964): sono due segmenti di popolazione ancora piuttosto o parecchio numerosi, sono persone con speranza di vita in crescita e molte di loro sono ancora saldamente in posizioni di comando. Se non sapremo coinvolgerli attivamente, convintamente e capillarmente (casa per casa), i 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2023 rimarranno un miraggio. Quindi? All involved, perché nessuno può chiamarsi, o essere lasciato, fuori.
Triple Transition
Molte delle leading firms citate in precedenza, che possiamo definire Champions in Sostenibilità, sono in realtà imprese che avevano cavalcato per tempo la trasformazione digitale, che avevano colto tutte le potenzialità del Piano Calenda e che grazie a questi investimenti erano pronte per la transizione ecologica, dando forma alla cosiddetta Twin Transition.
Progettare e gestire processi produttivi e catene di fornitura e logistiche più sostenibili e snelle riducendo gli sprechi è centrale per le strategie sostenibili, e questi obiettivi si raggiungono con l’ausilio delle tecnologie digitali di fabbrica, che fanno uso sempre più frequente di soluzioni di intelligenza artificiale, big data e machine learning. In più, la trasformazione digitale apre al mondo del cosiddetto product as a service. La servitizzazione è un nuovo paradigma che cambia il rapporto tra imprese e clienti (dalla vendita al noleggio), i modelli di ricavi (dal prezzo al canone) e la comunicazione con i clienti stessi. È a partire da questi processi di base centrati su produzione, reti di fornitura e nuova concezione dei prodotti che un numero crescente di aziende hanno intrapreso la strada della sostenibilità, adottando i principi dell’economia circolare.
Nel contesto delineato, poi, l’innovazione fa da acceleratore della doppia transizione: ci sono nuovi principi economici e fattori territoriali che spiegano in che modo si possono favorire l’introduzione di nuovi prodotti o servizi e processi produttivi per dare impulso e accelerare la fase di transizione da un’economia basata su fonti fossili a un’economia più sostenibile, centrata sul superamento di logiche lineari e sull’impiego di energia da fonti rinnovabili.
Basta questo? Secondo me, no. A me pare che per completare il processo si debba tener conto anche della cosiddetta Giusta Transizione, quel concetto europeo ricco di significati, che esorta a fare il possibile perché nessuno resti indietro e che in pratica vuol dire farsi carico di accompagnare grandi masse di lavoratori e di lavoratrici nell’acquisizione delle competenze per interpretare in modo corretto la doppia transizione. Come si fa? Bisogna ripensare la gestione del capitale umano bilanciando pratiche consolidate e strumenti emergenti, impiegando in modo etico le tecnologie digitali per disegnare luoghi di lavoro e lavori sostenibili, dignitosi e inclusivi.
Sabato alle 16:30, in occasione del Festival della Green Economy, un panel ricco di esperti discuterà dello stato dell’arte della transizione ecologica del mondo dell’impresa. Qui il link all’evento.
* Paolo Gubitta è professore ordinario di Organizzazione aziendale all’Università di Padova e coordinatore del comitato ordinatore della nuova laurea magistrale (in lingua inglese) in Management for Sustainable Firms, che prevede tre specializzazioni: Smart Manufacturing, Marketing and Digital Transformation, People and Organizations. Il corso di laurea sarà avviato a ottobre 2023, unitamente alle altre due nuove lauree magistrali che completano l’offerta formativa del Dipartimento di Scienze Economiche e Aziendali “Marco Fanno”: Applied Economics (con tre curricula: Digital Economics; Economic Data Analytics; Environmental Economics & Green Finance) e Accounting, Finance and Business Consulting (con tre curricula: Accounting, Control and Corporate Finance; Banking and Finance; Consulenza e Direzione Aziendale).
[1] Questa affermazione ricalca la struttura e il ritmo della frase con cui si apre «La ricreazione è finita», il secondo romanzo di Dario Ferrari (Sellerio, 2023). Ho cambiato qualche termine, ho spostato il tempo al futuro e ho ribaltato il significato. Ciò nonostante, quando leggerete il romanzo, converrete che, tanto per le persone protagoniste delle storie che si intrecciano nella narrazione di Dario Ferrari quanto per le nostre comunità economiche e sociali, la ricreazione è finita per davvero.
[2] I termini «lucky few» e «happy many» sono stati introdotti nel dibattito socio-economico italiano da Fulvio Coltorti, lo studioso, quando era direttore del Servizio Studi e Ricerche di Mediobanca, inventò il concetto di Quarto Capitalismo.