Cosa succede quando la cucina orientale incontra quella nostrana e, in particolare, ferrarese? Ne nasce una fusion dinamica che, tra vernacolo ed esotismo, è anche la perfetta declinazione dei tempi moderni, nonché estensione, nel piatto, di questo bel locale che tanta parte della sua personalità mutua dalla scelta di lasciare crudi, e bruti, le pietre, i legni e tutti i materiali che lo compongono.
Nei piatti va in scena una cucina fluida, libera e divertita, che fa della contaminazione tra mondi differenti la sua missione e del volgere delle stagioni una risorsa. Ne sono un esempio gli gnocchetti di pane con cocco, edamame e semi di papavero così come, benché più avvitati verso la contaminazione nazionale, gli audacissimi spaghetti alla chitarra con zabaione, moscardini e tartufo. I sapori, del resto, sono molto concilianti e, a dispetto della pur ampia rosa dei riferimenti che scomodano, sono sempre guidati da un peculiare senso di discernimento.
Quanto all’anguilla, elemento feticcio di questa porzione di ecumene terrestre, qui le applicano una superba e calzante glassatura mentre la lingua di vitello diventa un convincente, e gustosissimo, Katsu Sando.
Precisa e ben congegnata la cantina, di dichiarato orientamento naturale, e con interessanti proposte al calice; ottimi i cocktail, concepiti per essere abbinati ai piatti. La carta è divisa tra le portate da condividere e quelle da dedicarsi singolarmente, ma ci sono anche gli assaggi. Bevande escluse si sta sui 40 euro.