Esternalizzare o verticalizzare: questo è il dilemma. Per i direttori operations, questo bivio è diventato una scelta quotidiana, soprattutto negli ultimi anni, segnati dalla pandemia e dalle crescenti tensioni geopolitiche. Prima di queste crisi, l’outsourcing era una pratica senza confini, mentre oggi le aziende sono spinte a selezionare con maggiore attenzione i fornitori e, in alcuni casi, a internalizzare fasi produttive.
Sarà questo il tema del nuovo numero del settimanale OperationsManager, che sarà disponibile sul sito operationsmanager.it a partire dal primo pomeriggio di domani. L’inserto dedicato al mondo dei processi e dei loro architetti nelle fabbriche, edito da ItalyPost in collaborazione con auxiell e AzzurroDigitale, vedrà intervistate quattro imprese (e quattro loro protagonisti): Airoh, Fas International, M.T. e Saba Italia.
La pratica insegna che non esiste una risposta univoca al ‘dilemma’ dell’outsourcing. Tuttavia, alcuni modelli si sono delineati. Nel settore moda, per esempio, è comune mantenere in-house la fase di sviluppo ed esternalizzare la produzione. Altri optano per fornitori ‘a chilometro zero’ per mantenere il controllo della catena del valore. Altri ancora scelgono di verticalizzare, portando tutte le fasi produttive al proprio interno. Questi ultimi possono decidere se tenere aperta la porta al lavoro per terzi oppure se concentrarsi esclusivamente sulla propria produzione.
L’outsourcing, tuttavia, non scomparirà. Questa strategia, nata negli anni Settanta, rimane fondamentale, come sottolineerà nella sua analisi Davide Fiorentini, poiché nessuna azienda fa tutto da sola. Le motivazioni perciò accade sono diverse. In primis, l’outsourcing è spesso più economico, soprattutto quando ci si rivolge a Paesi con costi della manodopera più bassi. Permette poi alle aziende di concentrarsi sul loro core business, delegando funzioni secondarie a terzi. Infine, consente di accedere a competenze specifiche, magari ‘di nicchia’.
Affinché ciò accada e l’esternalizzazione sia dunque adottata come strategia per migliorare l’efficienza interna e la qualità dei propri processi e prodotti, gli operations manager devono avere un approccio strutturato e pianificato nella messa a terra. Anzitutto, l’outsourcing deve essere supportato da indicatori di prestazione che monitorino qualità, tempi e costi.
In questo senso è utile per le aziende outsourcee essere integrate a livello tecnologico con gli outsourcer, così da condividere dati in tempo reale e mantenere il controllo sui processi. Cosa implica un approccio di questo tipo? Che devono esserci forti investimenti, soprattutto in fase iniziale, in formazione per garantire l’allineamento operativo tra azienda e fornitori.
‘Allineamento operativo’ che deve avvenire anche quando si parla della logistica e della sua pianificazione: in una relazione come quella che si crea nei processi di oustourcing la pianificazione deve assicurare la puntualità nella distribuzione dei materiali e dei prodotti finiti. Solo così l’outsourcing può garantire quella “fisarmonica produttiva” che permette alle aziende di adattare rapidamente i volumi produttivi alle fluttuazioni della domanda, come dice Federico Zanatta di Saba.
Ex post, un’analisi dei costi e del ritorno sull’investimento (il famoso Roi) sarà necessaria per confermare che l’esternalizzazione del lavoro sia effettivamente sostenibile in termini economici. Una valutazione di questo tipo deve tener conto sia dei risparmi diretti che si possono realizzare sia (aspetto spesso sottovalutato) dei costi associati alla gestione dei fornitori.
Vale allora la pena anche sottolineare quali rischi può comportare l’outsourcing. Il più evidente, forse, è connesso al deterioramento della qualità del prodotto, che però può essere evitato attraverso la condivisione di standard chiari e l’esecuzione di audit regolari. C’è poi quello delle interruzioni logistiche, spesso causate da eventi geopolitici, contro cui le aziende devono predisporre piani di continuità operativa.
Infine, un altro punto che sta emergendo sempre di più nel dibattito e che scavalla il perimetro delle attività a diretto coordinamento dei direttori operations è quello della proprietà intellettuale. La sua protezione è allora cruciale per evitare violazioni dei dati o appropriazioni indebite e gli accordi di non divulgazione diventano strumenti essenziali in questo contesto.
Per un direttore operations, dunque, una gestione efficace dell’esternalizzazione richiede la capacità di bilanciare obiettivi chiari e sistemi di controllo delle performance robusti, continuando a garantire la flessibilità necessaria ad affrontare eventuali e sempre più frequenti cambiamenti del mercato. È così che diventa possibile per massimizzare i benefici dell’outsourcing e ridurne al minimo i rischi.