Chi ha detto che un piano strategico dove gli obiettivi ESG appaiano con pari dignità accanto ai consueti target economico-finanziari non sia cosa da PMI? A dire il vero un certo scetticismo è giustificato, dal momento che io stessa sono stata spesso tentata di ammettere che, forse, è la pianificazione strategica tout court a non essere cosa da PMI. È stata quindi un’innegabile soddisfazione imbattermi in una giovane piccola impresa padovana, che non solo ha affrontato con grande serietà un processo di pianificazione strategica, ma che ha inteso allargarne fin da subito il perimetro, includendovi i propri impatti su ambiente e società.
Con questo caso aziendale desidero condividere il percorso compiuto al suo fianco. Metterò in particolare evidenza come l’integrazione dei temi ESG nei tradizionali obiettivi economico-finanziari non sia avvenuta forzando o snaturando il consueto percorso di pianificazione, ma, al contrario, come esso si sia adattato egregiamente al nuovo approccio: per rendere evidente questo aspetto, cercherò di mostrare quali aggiustamenti si siano resi necessari al fine di includere efficacemente i temi ambientali e sociali in ogni fase del processo.
Prima di iniziare, però, desidero aggiungere una nota circa gli strumenti utilizzati, che ho reso quanto più possibile standardizzati e automatici. Ho proposto matrici, grafici, tabelle da compilare in modo guidato, con l’intento di semplificare il lavoro per me e per il cliente e di rendere intuitiva l’applicazione dei nuovi concetti correlati alla sostenibilità. Un effetto collaterale, per niente spiacevole, è stato tra l’altro quello di contenere il tempo (e il costo) richiesto dal mio intervento di Temporary Managemement.
Primo: la definizione del Business Model aziendale
In un primo tempo, il modello di business è stato studiato secondo il solito schema del Canvas, che si concentra sul capitale finanziario e sulle sole relazioni con i clienti, i fornitori e i collaboratori più direttamente implicati nell’attività d’impresa. Quando però, in ottica di sostenibilità, si è dovuto comprendere in che misura il business model aziendale impattasse su ambiente e società, il Canvas ha dimostrato qualche limite e ha dovuto essere arricchito, allargando il suo perimetro.
L’azienda ha preso coscienza che la propria attività trae risorse da una molteplicità di capitali e che, per uno sviluppo sicuro, sostenibile e di lungo periodo, è tenuta a restituire un valore maggiore rispetto a quello consumato in ciascuna di queste risorse.
In concreto, abbiamo adottato la classificazione del Framework <IR> e abbiamo affiancato alla focalizzazione sul capitale finanziario anche quella sui capitali umano, fisico, naturale, relazionale e organizzativo. Ne è risultata una nuova descrizione del business model, che illustra in che modo l’azienda consumi ciascuno dei sei capitali (“Input”), come li trasformi in una proposta di valore allineata con i bisogni dei propri clienti (“Output”), ma soprattutto quali siano i suoi impatti (“Outcome”) su ciascuna delle sei tipologie di risorse. Si tratta di un’immagine circolare, dove tutti i capitali transitano attraverso le attività dell’azienda, ne vengono trasformati e infine tornano a ricostituire l’Input, in un’ottica ciclica di crescita del valore nel lungo periodo.
Secondo: identificare i propri Stakeholder
Il tradizionale approccio finanziario si focalizza su due sole categorie di portatori di interessi: gli investitori e la Proprietà. La prospettiva di valorizzazione dei capitali vista poc’anzi, al contrario, impone di ampliare il ventaglio dei soggetti interessati all’attività dell’azienda, includendo una serie di categorie collocate ben oltre l’immediata contiguità di rapporto. La conseguenza evidente è che le loro attese non possono più essere ignorate e finiscono inevitabilmente per influenzare le politiche aziendali.
Per chiarire su quali interlocutori fosse più opportuno fissare l’attenzione, abbiamo proceduto a mappare gli stakeholder attraverso una matrice che misura su un asse la loro influenza e sull’altro la loro dipendenza dall’azienda. Abbiamo quindi selezionato quelli con i più alti punteggi, ne abbiamo descritto le aspettative nei confronti dell’azienda e, per finire, abbiamo individuato le modalità più efficaci per coinvolgere ciascuno di essi nella definizione degli obiettivi strategici che lo interessano.
Terzo: i temi materiali
Nella definizione della strategia, il passaggio centrale è la scelta dei temi su cui indirizzare le azioni del piano, che tradizionalmente scaturiscono dall’analisi dei rischi e delle opportunità presenti nell’arena competitiva. Anche le tematiche ESG rientrano nell’analisi SWOT, dal momento che gli impatti ambientali e sociali sono pur sempre un fattore di rischio o opportunità per il valore finanziario delle aziende: tuttavia, come per il Canvas, la sola SWOT analisys non si è dimostrata sufficientemente esaustiva. Secondo l’approccio integrato già illustrato, gli effetti su tutti gli altri capitali non possono essere tralasciati: come arricchire dunque l’analisi strategica con i temi che stanno a cuore agli stakeholder diversi da investitori o Proprietà?
L’aiuto viene dagli European Sustainability Reporting Standards (ESRS), approvati dall’European Financial Reporting Advisory Group (EFRAG) nel novembre del 2022, che costituiscono le regole per la rendicontazione di impatti, opportunità e rischi legati alla sostenibilità secondo quanto previsto dalla Direttiva CSRD dell’Unione Europea. Gli ESRS, in sostanza, definiscono gli standard ESG con cui le aziende europee dovranno obbligatoriamente misurarsi nel prossimo futuro e pongono in primo piano proprio la rendicontazione degli impatti sugli interessi di tutti gli stakeholder della propria catena del valore.
Una specifica sezione degli ESRS elenca una dettagliata lista di tematiche ambientali e sociali ritenute fondamentali, ed è stata proprio questa la fonte a cui ci siamo riferiti per selezionare gli argomenti prioritari per i nostri portatori di interessi. In concreto, si utilizza la mappatura degli stakeholder costruita nella fase precedente e si incrociano gli argomenti elencati dagli ESRS con le attese degli stakeholder più importanti, anche attivando i canali di coinvolgimento individuati. Il risultato finale è la lista di temi ambientali e sociali prioritari tanto per l’azienda che per i propri portatori di interessi.
Quarto: la valutazione con la “doppia materialità”
Se la pianificazione strategica della sostenibilità genera, come abbiamo visto, la revisione di alcuni consueti strumenti di controllo, gli Standard ESRS imprimono alla scelta degli obiettivi di piano una forte spinta evolutiva, verso una direzione del tutto inedita. La selezione deve infatti avvenire secondo il principio che gli ESRS chiamano di “doppia materialità”: le imprese devono rendere conto non solo degli impatti “Outside-in” (ovvero degli effetti di ambiente e società sul loro valore finanziario), ma anche di quelli “Inside-out” (cioè di come l’azienda incida su ambiente e società), e questa doppia valutazione deve essere compiuta indistintamente per qualsiasi tema materiale, sia esso finanziario o ESG. Questo significa, ad esempio, che le politiche di prezzo devono essere considerate per i loro riflessi sui conti aziendali ma anche sulle possibilità dei clienti più deboli di accedere al prodotto – se per loro necessario- o che le possibili fonti di inquinamento devono generare anche la stima del rischio economico da pagare in caso di danno ambientale.
In concreto, la materialità finanziaria viene valutata sulla base dell’entità del danno (o del profitto) moltiplicato per la probabilità che esso si verifichi, mentre l’impatto sociale e ambientale si ottiene dal prodotto tra la probabilità di accadimento e l’entità del danno per gli stakeholder. Le due valutazioni permettono di collocare ogni tema su una matrice “inside-out”/ “outside-in” e di scegliere quelli che hanno ottenuto i più alti punteggi, che diventeranno oggetto delle azioni del piano strategico. Vista la modalità integrata della loro definizione, è evidente che i temi ESG si trovano ad avere lo stesso peso specifico di quelli economico-finanziari.
Sarebbe corretto far fare proprio agli stakeholder la valutazione gli impatti, ma nel caso della piccola azienda di cui vi sto relazionando ciò avrebbe richiesto risorse al momento difficilmente reperibili. Di conseguenza, si è dimostrato più prudente rinunciare al coinvolgimento diretto dei portatori di interesse per basarsi su osservazioni indirette interne, modalità tra l’altro prevista dagli stessi ESRS.
Quinto: il piano strategico di sostenibilità
L’ultimo atto del processo è la definizione del piano strategico di sostenibilità, nel quale si traducono i temi materiali in obiettivi e azioni concreti e dettagliati.
La struttura è quella classica: i temi generano obiettivi e, a cascata, progetti -anche pluriennali- affidati a un responsabile ben identificato, i progetti vengono scomposti in azioni di primo livello e, se necessario, in ulteriori livelli. Per le azioni vengono sempre stabiliti responsabili e budget di spesa o investimento, e vengono fissati i KPI per valutarne l’avanzamento, ben descritti e con scadenze chiare.
Come sempre, tuttavia, il piano strategico non si limita a essere una griglia su di un foglio, per quanto ben congegnata. Un piano d’azione è fatto di organizzazione, procedure e, soprattutto, di team ben strutturati, di una comunicazione diffusa e corretta, di motivazione e partecipazione delle persone, di costanza e valore percepito per tutti i soggetti interessati. Sotto questo aspetto, notevoli sono state le energie investite dall’azienda di cui stiamo parlando: le responsabilità sono state diffuse a più livelli e si è prestata grande attenzione al corretto coinvolgimento dei collaboratori. Lo stato di avanzamento dei progetti viene monitorato costantemente e condiviso tra tutti, ed è già stato previsto un aggiornamento per tarare gli obiettivi esistenti o inserirne di nuovi.
Cosa resta ancora da fare
Possiamo dunque affermare che, nella nostra piccola azienda veneta, tutto si è concluso a meraviglia? Ovviamente no.
Il processo di pianificazione di sostenibilità è ancora in corso e non si è ancora espresso nella sua massima potenzialità. Ci sono state alcune oggettive difficoltà legate alla particolare fase in cui l’azienda si trova, caratterizzata dalla necessità di definire meglio la propria identità e di abbandonare lo stato di start-up per un maggiore consolidamento. In particolare, si sono dovute fronteggiare:
- la difficoltà di identificare circostanze di mercato e prospettive di sviluppo stabili e chiare;
- la scarsa disponibilità di risorse – economiche ma anche di tempo – da investire nel progetto, a causa di una struttura organizzativa ancora ridotta e necessariamente assorbita dalle attività correnti;
- la necessità di dare la precedenza alla pianificazione strategica per la salvaguardia e la valorizzazione del capitale finanziario, con un differimento parziale delle tematiche ESG.
Affinché la pianificazione di sostenibilità compiutamente integrata entri a regime, occorrerà ancora del tempo: la via è comunque ormai tracciata e sta dando già i suoi primi riscontri positivi.
Quando tutto sarà ben rodato e i temi ESG avranno acquisito una posizione centrale nella strategia aziendale, ci saranno tutti gli elementi per passare alla fase successiva, ovvero alla redazione del Report Integrato di Sostenibilità.
Ma, di questo, parleremo un’altra volta.
*Debora Vicentini, Leader Partner di Manager a Tempo®, specializzata in Controllo di Gestione e Sostenibilità & ESG. Laureata in Economia Aziendale alla “Ca’ Foscari” di Venezia con il massimo dei voti, si occupa di Pianificazione e Controllo da oltre venticinque anni. Negli ultimi anni si è avvicinata ai temi della sostenibilità d’impresa, visti però con lo sguardo del controller: affianca le imprese per l’integrazione degli obiettivi ESG nella strategia economico-finanziaria aziendale e li aiuta nella redazione del Report Integrato di Sostenibilità, prestando particolare attenzione alle esigenze delle PMI.