A metà del 2020, mentre il mondo era in lockdown, decidemmo di acquistare un’auto elettrica. Nostro figlio aveva sette mesi e io iniziai a pensare seriamente al suo futuro e alla possibilità che, a livello mondiale, le iniziative per mitigare la minaccia del cambiamento climatico non fossero abbastanza rapide. Le azioni di Tesla salivano alle stelle e la casa automobilistica stava per diventare la più ricca al mondo, nonostante producesse solo una piccola frazione degli undici milioni di auto prodotti ogni anno da Toyota. La Model 3 di Tesla era stata l’auto più venduta nel Regno Unito nel mese di aprile e anche i nostri amici avevano deciso di fare il grande passo. Sapevo che il futuro di nostro figlio sarebbe dipeso dalle decisioni che avremmo preso in quel momento, non dopo. Anche se la pandemia aveva fermato l’economia a livello globale, le notizie erano ancora tragiche: un’ondata di caldo dalla Siberia aveva fatto salire le temperature globali al secondo livello più alto mai registrato. Il ben noto impatto dei cambiamenti climatici derivante dal nostro consumo di combustibili fossili non si era preso una pausa. Misi in vendita la nostra vecchia auto a benzina a due porte e iniziai a cercare un’auto elettrica da noleggiare. Grazie a Google, scoprii che tra le chiavi di ricerca più popolari c’era «le auto a benzina non varranno più niente?»
Per i consumatori, l’auto elettrica rappresentava la scelta etica. Era un’idea seducente: potevamo migliorare il mondo cambiando leggermente il nostro stile di vita e facendo un piccolo sacrificio, comprando un fondo di investimento green invece di un index tracker; un’auto elettrica invece di una a benzina. Secondo la BBC, il mezzo con cui decidiamo «di andare in ufficio, o anche di fare la spesa, è una delle più importanti decisioni sul clima che prendiamo ogni giorno»15. La società di leasing che mi diede la macchina raccontava di un mondo in cui le auto «vanno mano nella mano con l’ambiente». Mi sono immaginato mentre, nel futuro, ricaricavo la mia auto e mi sono chiesto come avremmo iniziato a percepire le auto a benzina. Guidarne una sarebbe diventato un atto di vandalismo nei confronti del Pianeta, in tutto e per tutto una provocazione antisociale?
Avevo vissuto a Pechino per sette anni, proprio al termine del boom automobilistico cinese, durato trent’anni. Mi svegliavo ancora con il ricordo di come ci si sentiva a vivere lì: la gola secca e irritata, l’alito caldo dietro la mascherina (ben prima del Covid), la sensazione di oppressione al centro del petto. Mi venivano in mente i fanali rossi lungo quelle enormi tangenziali che scorrevano nel crepuscolo color acqua sporca; mi ricordavo di sentirmi incapace di andarmene da quella città di oltre venti milioni di abitanti. A volte, Pechino sembrava una cartolina dall’Apocalisse. La richiesta di automobili in Cina sembrava inarrestabile, una necessità consumistica che divorava intere città e portava alla costruzione di nuove città per le auto.
È allarmante osservare quanto sia cresciuto il mercato automobilistico cinese nell’arco della mia vita. Se vogliamo davvero limitare il cambiamento climatico in modo significativo, dobbiamo aumentare il numero di auto elettriche molto rapidamente. A livello mondiale, ci sono al momento circa dieci milioni di auto elettriche, e solo l’1% del totale a livello globale (a Pechino ci sono circa 5 milioni di vetture). Nel mondo circola oltre un miliardo di auto. Dovremo anche sostituire autobus e camion, navi, traghetti e persino aerei. Tutto questo richiederà batterie di dimensioni inimmaginabili fino a pochi anni fa. Il fondatore di Tesla, Elon Musk, di origine sudafricana, ha costruito un’enorme Gigafactory di batterie nel deserto del Nevada per rifornire le sue auto elettriche e le batterie per stoccare l’energia da fonti rinnovabili. Ma non è il solo: in Cina, nel 2020, ogni settimana veniva costruita una nuova fabbrica.
Grazie al mio lavoro al Financial Times, mi ero occupato delle materie prime di cui hanno bisogno le auto elettriche: litio, cobalto, nichel e rame, oltre ad alluminio e acciaio. Più analizzavo la catena di approvvigionamento e scoprivo chi gestiva quei metalli, più mi rendevo conto di come questa transizione avrebbe alterato i poteri economici. L’attenzione mediatica era tutta puntata su Musk e Tesla, ma nell’ombra c’era un mare di miliardari pronti ad arricchirsi. Era iniziata una corsa all’oro.
Nella Repubblica Democratica del Congo ho visto atterrare jet privati nel piccolo aeroporto bianco e verde della città mineraria di Kolwezi, mentre tutt’intorno bambini e famiglie erano intenti a estrarre cobalto a mano; in Cile mi sono trovato nel caldo torrido del deserto di Atacama di fronte a gigantesche vasche, grandi come Manhattan, dove si estraeva il litio; in Cina ho visitato fabbriche di batterie e impianti di litio che funzionavano ventiquattr’ore su ventiquattro con energia fossile, accanto a campi dove i bufali pascolavano liberamente. Tutto questo faceva parte della catena di approvvigionamento delle auto elettriche. Una serie di aziende stava addirittura progettando di estrarre questi minerali dalle profondità marine, aprendo l’ipotesi di avviare l’estrazione in una delle ultime terre inesplorate del nostro Pianeta.
Ogni giorno, per alimentare i nostri cellulari e trasmettere l’elettricità, ci affidiamo a metalli e minerali. Le tecnologie digitali ci danno la sensazione di vivere in un’economia eterea, slegata dalle risorse materiali. In verità, viene estratta una quantità di minerali senza precedenti, una dipendenza che è solo destinata ad aumentare16. Parliamo di intelligenza artificiale, di internet of things e di ascesa dei robot, ma per molti versi le nostre società non hanno fatto passi avanti rispetto alle pratiche del passato, quando il bisogno di petrolio spinse gli europei a spartirsi il Medio Oriente.
Le conseguenze della transizione non saranno solo di natura economica: saranno anche ambientali. L’estrazione e la lavorazione di questi minerali richiedono grandi quantità di energia e inquinano gli ecosistemi locali. Spesso, nel dibattito sulla transizione verso le energie rinnovabili e le auto elettriche, si tace questo fatto. Tutti i prodotti che utilizziamo hanno un impatto a livello di emissioni globali, sia per l’estrazione delle materie prime sia per la loro produzione. Si stima che l’attività estrattiva contribuisca per circa il 10% alle emissioni globali. È inevitabile: per produrre acciaio abbiamo bisogno di carbone e per produrre batterie abbiamo bisogno di litio, il metallo più leggero con il più alto potenziale elettrochimico. Quella dei veicoli elettrici (EV) è una rivoluzione fondamentalmente ecologica, ma impone delle scelte che sono destinate a influenzare sia l’ambiente sia le dinamiche di potere globale.
I predicatori dell’energia verde danno per scontato che un futuro senza combustibili fossili sarà privo di conflitti.Bill McKibben, un noto attivista, ha scritto che «se il mondo funzionasse con l’energia solare, non litigherebbe per il petrolio»17. Un’idea rilanciata da Tony Fadell, il creatore dell’iPod, che ha dichiarato alla rivista Wired: «se avessimo tecnologie per lo stoccaggio dell’energia molto economiche e molto efficienti, cesserebbero tutte le guerre: nessuno combatterebbe più per le riserve di petrolio»18. Le materie prime per costruire le nostre infrastrutture energetiche pulite hanno la stessa valenza geopolitica del petrolio. I Paesi che entreranno a far parte di queste nuove catene di approvvigionamento di energia pulita ne trarranno beneficio, mentre gli altri ne soffriranno.
La transizione verso l’energia pulita ha già acuito le tensioni geopolitiche tra Occidente e Cina. Nell’ultimo decennio, la Cina ha conquistato una posizione dominante sia nelle tecnologie energetiche pulite, come batterie e celle fotovoltaiche, sia nella catena di approvvigionamento delle materie prime che sostengono tali tecnologie. Sebbene molti di questi minerali non siano rari nella crosta terrestre, è per lo più in Cina che vengono trasformati in Cina in forme utilizzabili. È probabile che il litio e il cobalto della mia auto siano stati estratti in Australia e in Congo, ma lavorati in Cina e assemblati in una batteria da un’azienda cinese19. L’elettricità utilizzata nel processo produttivo è stata probabilmente generata da pannelli solari prodotti da un’azienda cinese a partire da silicio policristallino prodotto con combustibili fossili nella provincia dello Xinjiang. Il rame è stato quasi certamente raffinato in una delle centinaia di fonderie cinesi. Senza la Cina, non possiamo muoverci verso un futuro verde in cui le batterie saranno protagoniste. Ci stiamo muovendo verso una maggiore indipendenza energetica, ma le catene di approvvigionamento continuano a essere il nostro principale punto debole.
Questo libro racconta la storia di queste catene di approvvigionamento e dei personaggi che vi sono dietro. È una storia che parla di aziende cresciute nell’ombra che gestiscono il commercio mondiale di materie prime, di società private cinesi che comprano miniere in Cile, Australia e Indonesia, di grandi aziende automobilistiche come Tesla e Volkswagen. Mi auguro che il libro possa aiutare i lettori a porsi le giuste domande sulla nostra transizione dai combustibili fossili. Le materie prime di cui abbiamo bisogno sono sepolte nella crosta terrestre; quale costo ambientale e sociale siamo disposti a sostenere per estrarle? Senza gli opportuni controlli, gli abusi verranno nascosti dietro il velo del greenwashing da parte delle aziende della stessa catena di approvvigionamento. Siamo all’inizio della rivoluzione delle auto elettriche, il che significa che abbiamo un’opportunità unica come consumatori per spingere le aziende a fare la cosa giusta e a gestire gli aspetti negativi che ne derivano. Non dovremmo essere ostili alle tecnologie green, ma nemmeno ingenui. L’era del petrolio ha lasciato una traccia indelebile nel XX secolo. Dovremmo fare in modo che le industrie del nostro futuro green non ripetano gli stessi errori.