Entrati in azienda come un mantra da seguire pedissequamente, i KPI (Key Performance Indicators) sono indicatori delle prestazioni adottati dalle organizzazioni per misurare l’efficacia con cui si stanno raggiungendo gli obiettivi aziendali.
In sostanza, esprimono in valore le prestazioni di un sistema aziendale o di una sua componente (come un’apparecchiatura, un individuo, un gruppo di persone) e forniscono – o forse bisogna dire, dovrebbero fornire – informazioni utili a prendere decisioni. Il condizionale, infatti, è d’obbligo perché troppo spesso danno solo un’immagine sfocata dell’andamento aziendale, e, se male interpretati, possono portare a decisioni sbagliate. E questo succede non perché siano degli scarsi strumenti di misurazione, ma per il loro utilizzo è disallineato rispetto al Cliente.
Ne sa qualcosa Roberto Golfetto, Value Delivery Manager di auxiell, azienda di consulenza che migliora le performance delle organizzazioni in cui opera analizzando, realizzando e misurando processi efficaci ed efficienti. «Mediamente le aziende hanno sistemi di misurazione basati sull’efficienza singoli dirigenti, dipartimenti, macchine e fasi di lavoro – spiega Golfetto –. In realtà, dal punto di vista del processo, si tratta di misurazioni miopi che fanno perdere il focus sull’obiettivo generale: ossia la generazione di valore per il cliente».
Per assurdo, alcune aziende adottano tattiche e strategie che vanno a migliorare singole fasi di lavoro e, senza accorgersene, finiscono per peggiorano gli indicatori di processo e con essi i livelli di servizio ai clienti. Questa tipologia di miglioramenti è spesso legata a sovraproduzioni che finiscono per alimentare scorte e quindi costi.
Il problema è che vengono adottati indiscriminatamente indicatori chiave classici del proprio contesto, perdendo di vista il primo obiettivo: la soddisfazione del cliente.
In questi casi è necessario correre ai ripari velocemente: «Bisogna ribaltare il punto di vista partendo dal cliente – prosegue il Value Delivery Manager di auxiell –. I KPI dei processi vanno rivisti partendo dal concetto che l’azienda nasce proprio per generare valore al cliente. Per questo vanno creati degli indicatori che facciano capire se sto realizzando questo plus oppure no».
In questo modo si definisce un’organizzazione del lavoro che ora procede per processo e non più per fase. «Per capirsi – continua Golfetto – è un ripensamento organizzativo che parte dai vertici dell’azienda e deve essere calato fino alla fine del processo, definendo prima di tutto le strategie. Al centro c’è la soddisfazione del cliente e su questo sì allineano poi tutti i KPI. Quando riusciremo a fare questo, approcceremmo i risultati di una trasformazione radicale».
Si tratta di una vera e propria rivoluzione rispetto alle tecniche di analisi utilizzate abitualmente, perché spesso i risultati vengono nascosti dal modo in cui li misuriamo. «Facciamo un esempio. Assumiamo di avere un macchinario e l’indicatore di efficienza ad esso collegato. Ci convinciamo che sta rispettando il target perché produce i 100 pezzi al giorno che sono stati calcolati come obiettivo ai fini del suo ammortamento. Tuttavia, se il mercato non richiede 100 pezzi al giorno significa che stiamo producendo scorte, con conseguenti immobilizzazioni finanziarie che spesso il conto economico non palesa. Insomma, si sta guardando con degli occhiali sbagliati».
E qui sorge il problema: per molte aziende i KPI diventano un vincolo al miglioramento.
«Gli indicatori sono utili se ci aiutano a prendere delle decisioni – commenta Golfetto –, altrimenti non servono. Ma non basta, devono aiutare a prendere le decisioni giuste e, se il valore per il cliente è il primo obiettivo, dobbiamo declinare i processi in questo senso».
Golfetto continua con un esempio concreto: «Se la mia azienda fosse una squadra di calcio, con i classici KPI di fase andrei a misurare l’efficienza dei singoli giocatori, come ad esempio il tempo di corsa sui 40 metri, la resistenza, la forza del tiro e la precisione, ma non mi andrebbero a spiegare il motivo delle mancate vittorie. È quello che accade in molte imprese, dove ci sono persone preparatissime che però non hanno ben chiaro in quale porta segnare».
Cambiare mentalità non è certamente facile, significa mettere in discussione abitudini che si sono consolidate negli anni, e questo è ancora più difficile se i margini dell’azienda sono comunque positivi. Quello che noi di auxiell cerchiamo di far capire è che scegliere i KPI giusti permette di fare molto di più.