Autoctono nell’autoctono. A differenza degli altri carciofi, infatti, il piccolo Carciofo Moretto di Brisighella rappresenta una varietà rustica che ha mantenuto intatto il proprio genoma. Nel corso del tempo su questa tipologia, che nasce spontanea nei caratteristici calanchi gessosi dell’Appennino brisighellese, consumati da agenti atmosferici e dallo scorrere delle acque ed esposti al sole, non sono stati fatti interventi genetici per cui ha mantenuto da sempre inalterato il patrimonio aromatico delle origini.
Le piante sono in sostanza cespugli, dall’aspetto selvatico, che possono arrivare al metro e mezzo di altezza. Il fusto eretto ha alla base dei butti chiamati “carducci”, utili alla riproduzione. Le foglie sono grandi, spinose e di color verde-grigio, mentre il “Moretto” ha una livrea viola con sfumature dorate, spine giallo nere rigide e un sapore fresco che rimanda al sedano e un retrogusto amaro.
Tradizionalmente si è sempre mangiato crudo (in alternativa, lievemente lessato), condito con sale e olio extravergine d’oliva, meglio se con quello di Brisighella che vanta proprio chiare note di carciofo. Già a metà del Novecento si coltivavano questi carciofi nelle scarpate vicino alle case di campagna, dove le massaie andavano a gettare la cenere di camini e stufe a legna, per allontanare i topi, ghiotti della loro radice.
Attualmente, il “Moretto” è coltivato su un totale di 10 ettari, da una trentina di produttori, pochissimi dei quali nominati custodi.
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