Un prodotto unico al mondo e strettamente radicato nel territorio di produzione, patria di una lavorazione nobile e antica che rischiava di essere dimenticata. Strappato dall’oblio gastronomico, il Caviale Ferrarese si ottiene dalle uova di storione lavorate secondo una ricetta rinascimentale, elaborata dal celebre Cristoforo di Messisbugo, scalco del duca Alfonso I d’Este. Tra XIV e XV secolo, gli storioni erano assai numerosi nel Po e il Caviale Ferrarese era il gioiello assoluto dei ricchi banchetti di corte.
Esso, diversamente dagli altri caviali, crudi, subisce una delicata cottura al forno che ne esalta con gentilezza le peculiarità organolettiche e poi viene messo sott’olio. Grazie a una sorvegliatissima salatura, il prodotto ha un sapore elegante e raffinato. Con la fine della dinastia degli Este, Ferrara e il suo caviale persero notorietà.
La delizia si riappalesò solo nella prima metà del XX secolo, preparato secondo segretissima ricetta nella bottega di specialità ebraiche di Benvenuta (Nuta) Ascoli, cui successe Matilde Bianconi sino al 1972. Da allora, complice il calo della presenza di storioni nel Po, del prodotto e della ricetta si persero le tracce. Recuperata rocambolescamente la ricetta della Nuta nella comunità ebraica di New York, il Caviale Ferrarese ebbe ancora vicende alterne. Dal 2009 Cristina Maresi, cuoca e titolare dell’Agriturismo Le Occare, a una ventina di chilometri da Ferrara, lo produce come faceva la Nuta, usando storioni di un primario allevamento italiano e lo vende in vasetti da 30 e 100 grammi.