Emilia Felix? Fino ad oggi è stato così, ma l’evoluzione dei mercati e qualche provincialismo di troppo rischiano di compromettere il suo futuro. Per carità, si tratta sempre, al confronto con Veneto e Lombardia, di una regione modello, i cui punti di forza stanno, rispetto alle regioni cugine del triangolo industriale italiano, in un tessuto di imprese assai più cosciente del loro ruolo sociale e in un rapporto con le istituzioni, dalle Università alla Regione, assai più strutturato.
Ma alcuni segnali, che indicano una possibile crisi di quella regione che è cresciuta più delle altre in questi anni, vanno colti. Ed è meglio affrontarli subito per cercare di porvi rimedio. Piuttosto che adagiarsi sugli allori, commettendo gli stessi errori compiuti da Milano, che ora vive una crisi assai più profonda di quello che la narrazione mediatica racconta, tanto da aver iniziato da tempo a perdere abitanti. O da un Veneto che nel giro di 10 anni ha perso tutto, dalle banche alle assicurazioni fino alle Fiere, inclusa quella di Verona, che ha retto fino ad ora solo grazie ad aumenti di capitale e ristori. E che, per ragioni tutte interne alla politica locale, sceglie i propri vertici sulla base di accordi tra i partiti piuttosto che varare un vero piano di rilancio affidandosi a manager competenti.
L’Emilia al momento questi problemi non li ha. Ma i segnali di una possibile crisi cominciano ad esserci tutti. Basti pensare all’operazione Silk-Faw, annunciata in pompa magna come capace di portare la Motor Valley alla transizione verso l’elettrico. Operazione ormai fallita per l’inaffidabilità della multinazionale scelta a riferimento. Come sia stato possibile per i vertici regionali e confindustriali non andare a vedere la reale consistenza della società con la quale sono stati stretti accordi per il suo insediamento, è difficile da capire. Forse ci si è fatti prendere dall’entusiasmo, o forse qualcuno si è distratto. Fatto sta che per la politica di attrazione degli investimenti è un gran brutto colpo.
Ma l’altra grande malattia che rischia di corrodere l’Emilia è legata al rigurgito di provincialismi di ogni tipo. Sul sistema fieristico l’annunciata fusione tra Rimini e Bologna è sfumata. Sono bastati i ristori governativi a salvare i bilanci e subito le classi dirigenti locali hanno rialzato la testa, costringendo la Regione a frenare le ambizioni di costruire un grande polo che puntava forse ad andare anche a nord del Po. Per non parlare di Parma che rivendica a ogni piè sospinto una fermata dell’Alta Velocità. Richiesta che ricorda molto la pessima attitudine dei veneti che bloccano l’opera se non gli viene garantita una fermata per ogni capoluogo di provincia, portandola a diventare, se e quando sarà completata, una linea nei fatti a Bassa Velocità. E anche sul piano politico il grande patto Zaia – Bonaccini sembra non decollare, facendo sempre più assomigliare il secondo governatore al primo, che, tradotto, significa farlo entrare in quel meccanismo per cui aumenta la sua popolarità in misura proporzionale al calo di capacità e volontà di governo.
Ma i segnali più preoccupanti arrivano dal settore industriale, le cui previsioni di crescita per il 2022 sono ora dello 0%. Tre settori sembrano essere particolarmente colpiti. Il primo è l’alimentare, stretto nella morsa tra aumento dei costi delle materie prime e dell’energia e la necessità della Gdo di contenere i prezzi. Due fattori che rischiano di far chiudere il 2022 in perdita sia ai colossi locali dell’agroalimentare che la Gdo. E per uno di questi ultimi in particolare, ossia Coop Alleanza 3 che aveva intrapreso un lento e non si capisce quanto reale percorso di risanamento, le conseguenze potrebbero essere devastanti. Per carità, qualcuno sottolinea che se nemmeno MPS è stata lasciata fallire, figuriamoci se si lascerà che accada a Coop, che ha migliaia di soci con risparmi investiti nel “prestito sociale”. Ma si potrebbe rispondere che se MPS non è tecnicamente fallita, basta andare a Siena per capire che comunque il declino non si ferma.
Il secondo settore in forte difficoltà è la ceramica. Qui non c’è molto da dire, se non che questa tipologia di produzione è fortemente energivora e non in grado di scaricare del tutto a valle gli aumenti dei prezzi che subisce. Ma, soprattutto per Modena, la ceramica vale molto. E, nella stessa provincia, a soffrire è anche la catena di fornitura del settore automotive, all’interno del quale funzionano solo le aziende fornitrici di prodotti per l’alto di gamma. Ma, crisi delle vendite delle utilitarie e delle “medie” a parte, è la transizione all’elettrico che sta mettendo ko la componentistica. Certo, con la crisi in corso è possibile che qualcosa cambi, ma se la Germania rimane ferma sulla volontà di passare al l’elettrico in tempi brevi (scelta giusta o sbagliata che sia) nella Motor Valley non saranno pochi a soffrirne.
A queste difficoltà dell’industria si aggiunge qualche segnale anche sul fronte della finanza. Nonostante la grande capacità di visione di Carlo Cimbri nel voler costruire attorno a Unipol e Bper un polo finanziario di grande peso, la scelta di focalizzarsi sulla distribuzione di ricchi dividendi agli azionisti – tra cui appunto alla “bisognosa” Coop Alleanza 3 – non sembra essere stata apprezzata dai mercati. A margine di questa situazione, per restare su qualche pasticcio combinato in casa Coop, va annoverata anche la non azzeccata scelta di aderire al progetto fallimentare di Farinetti passato sotto il nome di Fico. Per spostarsi invece in ambito aeroportuale, la difficoltà di far funzionare il People Mover che collega la Centrale di Bologna con il suo aeroporto diventa un ulteriore elemento allarmante riguardo la capacità del sistema emiliano di gestire alcune scelte strategiche.
Ripetiamo, l’Emilia continua ad andare bene. Ma meglio lanciare l’allarme, come noi qui facciamo, prima che scoppi un incendio, in modo da prevenirne la possibilità, piuttosto che stare a guardare plaudenti per poi svegliarsi bruscamente tra le fiamme, come accaduto a Milano e in Veneto. Perciò, se fossimo le classi dirigenti politiche e imprenditoriali di quella regione, cercheremmo di fare rapidamente il punto ed evitare che la situazione degeneri. Anche perché di una Emilia locomotiva ne ha bisogno il Paese, e ne hanno bisogno anche Veneto e Lombardia, che devono continuare a guardare a questa regione come ad un esempio da seguire.