Direttore, in che modo state affrontando come Ater Fondazione le ripetute chiusure dei teatri legate alle misure di contenimento dell’emergenza sanitaria?
«Innanzitutto con Ater abbiamo cominciato a realizzare delle attività via streaming, tra dicembre e gennaio, dal titolo Teatri nella Rete. È stata una vera e propria rassegna attraverso la quale abbiamo potuto eseguire sulle piattaforme online tutti gli spettacoli che avremmo dovuto realizzare durante la stagione dal vivo. Abbiamo anche attivato alcuni webinar con gli artisti stessi, con l’obiettivo di mantenere quell’interazione diretta con il pubblico che era andata persa nei primi mesi di lockdown. Infine, per evitare il licenziamento dei nostri dipendenti, abbiamo ridotto a tutti l’orario attraverso l’utilizzo degli ammortizzatori sociali. Purtroppo non abbiamo ancora alcuna certezza rispetto alle date per una possibile riapertura, anche se ci stiamo già organizzando per una possibile “fase 2” online attraverso delle lezioni di danza via zoom e dei laboratori in collaborazione con le scuole di ogni ordine e grado, in modo da mantenere il più possibile aperto il dialogo con ragazzi e famiglie. Non è molto, ma è quello che per ora ci è consentito fare.»
Gli aiuti statali hanno giocato un ruolo decisivo nel bilancio complessivo dei teatri della Regione?
«Senza dubbio tutti i teatri sostenuti dal Fondo Unico per lo Spettacolo sono riusciti a rimanere a galla attraverso le leve della cassa integrazione, dei ristori e dei contributi integrativi, finanziate sia dallo Stato che dalla Regione. Infatti noi, che fortunatamente rientriamo nella categoria dei teatri sostenuti dal Fus, abbiamo sostanzialmente avuto la conferma di tutti i contributi ottenuti l’anno precedente e, se riusciremo a riprendere le attività entro quest’anno, con tutta probabilità riusciremo a riprendere a pieno regime senza particolari intoppi. Al contrario, per tutti i teatri che non godevano dei finanziamenti statali quest’ultimo anno è sicuramente stato tragico. Certo, sono stati previsti degli aiuti anche per la cosiddetta categoria “extra-Fus”, ma si è trattato più che altro di un finanziamento di 10mila euro “a pioggia” che, oltre ad essere totalmente insufficiente al mantenimento di un’attività teatrale, è stato per di più attuato senza alcun senso né prospettiva di lungo periodo.»
A soffrire di queste chiusure, ancor più che i teatri non sostenuti dai fondi statali, sono stati tutti gli artisti indipendenti?
«Senza dubbio la categoria degli artisti freelance, che non gode di alcuna copertura produttiva, ha sofferto molto per la situazione. Credo che la condizione di grave difficoltà sia dovuta anche alla problematicità nell’intraprendere, da parte delle istituzioni, un processo di discriminazione tra la platea dei possibili richiedenti, che è immensa e non facilmente individuabile: non c’è infatti nulla di paragonabile ad un “albo” per gli artisti dei teatri. Proprio a causa di tutte queste difficoltà nel riconoscere la professionalità degli artisti indipendenti ritengo che sui teatri – soprattutto quelli che sono stati sostenuti attraverso i fondi del Fus – ricada, una volta tornati in attività, la responsabilità di aiutare questa categoria sfortunata a riprendersi e a tornare sul mercato il prima possibile. Gli strumenti digitali che abbiamo appreso potranno senza dubbio costituire una ricchezza aggiunta al teatro dal vivo, che però rimane di fatto insostituibile: le sale vuote hanno bisogno di tornare ad essere ripopolate dal pubblico, così come gli artisti hanno bisogno di tornare ad accogliere gli applausi che meritano.»
Alla luce di tutto ciò, nel complesso ritiene soddisfacente la risposta arrivata da parte delle istituzioni nazionali e regionali rispetto alle necessità del teatro?
«Senza dubbio i soldi non sono mancati. Ma ritengo ci sia stata una grave mancanza nei confronti di tutte quelle attività che, non essendo dentro un percorso di finanziamento statale, si sono ritrovate totalmente scoperte. L’impegno c’è stato, ma sono mancati totalmente i criteri di ripartizione dei fondi. Purtroppo la nostra categoria, ritenuta da sempre un settore “non essenziale” rispetto alla produttività del sistema economico, è abituata a non ricevere le giuste attenzioni: in un mondo che viaggia in senso utilitaristico e con una spasmodica attenzione rivolta al profitto economico, l’arte è spesso considerato un bene non necessario al benessere del Paese. Al di là del teatro finanziato si estende uno sterminato mondo di artisti, che esiste e ha un suo mercato, ma che risulta invisibile e che non ha ancora trovato un sistema per farsi riconoscere.
Con l’emergenza sanitaria che ha colto tutti alla sprovvista, dunque, sarebbe stato impensabile pretendere che si trovassero, con il treno già “in corsa”, quei criteri di riconoscimento del lavoro artistico che non si erano mai trovati prima. Piuttosto, speriamo che questa grave mancanza almeno abbia fatto luce sul problema sistemico che la nostra società ha con l’arte: ci stiamo disabituando alla cultura, che è sempre più ai margini dell’agenda politica moderna. E le conseguenze si vedono: il deficit di educazione e tolleranza di cui soffre la società italiana non è altro che l’effetto collaterale derivante dalla mancanza di un giusto peso dato alla cultura. Gli artisti costituiscono un bene prezioso da salvaguardare, ed è assolutamente necessario muoversi affinché la loro categoria non si ritrovi più abbandonata a sé stessa.
Si sta discutendo molto di una possibile riapertura delle sale dei teatri dopo Pasqua. Ritiene che si tratti di una prospettiva positiva?
«Personalmente ritengo che per il teatro si tratterebbe di una misura puramente simbolica e di facciata, dal momento che la nostra stagione volgerebbe alla fine proprio in quel periodo. Noi speriamo in una riapertura estiva, magari con spettacoli dal vivo e all’aperto in collaborazione con i comuni: gli spazi aperti ci consentirebbero infatti di far riabituare il pubblico al teatro. In questo senso una riapertura estiva potrebbe costituire un trampolino di lancio per arrivare preparati all’autunno, con le stagioni teatrali dal vivo e all’interno delle sale dei teatri.»